Descrizione
Sant'Antonio sostò a Camposampiero poche settimane, le ultime della sua vita terrena. Queste bastarono per dar lustro a questa cittadina ricca di verde e di silenzio e per dare origine ad alcune testimonianze che ancora oggi vivono nei due santuari detti giustamente: "Sacri luoghi antoniani".
I Santuari Antoniani, oasi di spiritualità, arte e raccoglimento costituiscono, senza dubbio, la principale attrattiva turistica di Camposampiero. Sono migliaia ogni anno i pellegrini qui attirati principalmente dalla devozione a Sant'Antonio, ma anche dall’atmosfera di pace che emana dal luogo, dalle ricche testimonianze di fede, di religiosità e da quella gemma preziosa che è la chiesetta del Noce, uno dei santuari artisticamente e culturalmente più interessanti del territorio provinciale ed insieme il segno più significativo della presenza di Antonio a Camposampiero.
Il complesso architettonico dei santuari si compone dell’Oratorio del Noce, della Chiesa di San Giovanni Battista e del Convento dei Frati Minori Conventuali.
Santuario del Noce
Il Santuario del Noce, risalente alla prima metà del sec XV. venne edificato sul luogo dove sorgeva l’albero di noce dal quale il Santo predicava alle umili genti di campagna.
E’ uno dei santuari artisticamente più interessanti della provincia di Padova. Ampliato in tre momenti successivi, venne arricchito nella seconda metà del sec. XV da un ciclo di affreschi di Girolamo Tessari, detto Del Santo, che raffigura i più importanti miracoli di Sant'Antonio, di alcuni dei quali costituisce l’unica testimonianza iconografica.
Pregevole all’interno anche la pala di Bonifacio De Pitati (1533), collocata nell’abside e raffigurante il Santo che predica dal noce.
Chiesa di San Giovanni Battista
La primitiva chiesa di San Giovanni sorse in epoca antecedente al castello, come dimostra la sua collocazione al di fuori delle mura originarie. Solo in seguito divenne cappella dei Castellani, i conti di Camposampiero. E’ assai probabile che sia stato lo stesso Tiso IV a chiamare a Camposampiero i frati francescani e ad affidare loro la chiesa, attorno la quale si formò il convento. Qui sostò Sant’Antonio quasi ininterrottamente, nell’ultimo mese della sua vita terrena, fino alla morte sopraggiunta all’Arcella il 13 giugno 1231. Nel secolo successivo, chiesa e convento soffrirono delle aspre lotte tra Carraresi ed i Camposampiero per il possesso del castello.
A causa delle continue ostilità i francescani furono costretti ad emigrare. La rinascita di quei luoghi così ricchi di memorie antoniane, si deve a Gregorio Camposampiero che, tra il 1426 e il 1431 (quindi già in epoca di dominio veneziano), fece ricostruire, ampliandone le dimensioni, sia il convento sia la chiesa. Quest’ultima era a navata unica, in stile gotico con tendenze rinascimentali. Nel XVII secolo, obbedendo al gusto barocco, furono apportate nuove modifiche con l’aggiunta di una navata, di nuovi altari e di alcune cappelle. Nel 1767, la Repubblica di Venezia soppresse il convento che venne quindi abbandonato dai frati. Chiesa e convento passarono nuovamente sotto l’egida dei conti di Camposampiero ma, in breve tempo, caddero in rovina tanto che, nel 1798, l’intero complesso eccetto il coro e parte della navata principale, preservate per la necessità del culto fu demolito.
Nel 1854, la famiglia Allegri, subentrata ai Camposampiero nel possesso dei santuari, cedette gratuitamente al Municipio di Camposampiero i diritti di proprietà sul convento, la chiesa di San Giovanni e l’oratorio del noce. Nel 1895, i frati francescani fecero ritorno al loro antico convento e fecero erigere la chiesa attuale, di struttura inponente, che fu inaugurata nel 1909. Interessante, all’interno, la cella della Visione, recentemente restaurata, facente parte della prima chiesa, i cui resti sono visibili all’entrata, protetti da un vetro. Si narra che qui Antonio ebbe la visione di Gesù Bambino. Essa è impreziosita dalla tavola che, secondo la tradizione, venne utilizzata da Sant'Antonio quale giaciglio. Andrea Vivarini, fondatore della scuola pittorica di Murano, fiorente verso la metà del XV secolo, vi ha ritratto l’effige del grande Taumaturgo. Nel corso dei secoli la tavola, oggetto di continua venerazione, ha subito menomazioni, a causa della devozione popolare che è venuta tagliuzzandola per ricavarne delle reliquie.